di Roberto Masiani e Beatrice Loreti
Nelle relazioni sentimentali a volte accade di sentirsi rimproverare: “non pensi a me”, “pensi solo a te”, “sei un egoista!”. Come possiamo capire se stiamo sbagliando qualcosa nel comportamento con l’altro? Amare un’altra persona significa anche dedicare tempo e attenzione per accompagnarla nella sua ricerca della felicità. Nella relazione di coppia questo impegno dovrebbe essere reciproco. Il rischio opposto è quello di non prendersi completamente cura di se stessi, cosa che può intossicare le relazioni, e manifestarsi nel tipico gioco dello scarica barile. Se non ci assumiamo la piena responsabilità del nostro benessere, danneggiamo noi e il nostro partner, perché il nostro disagio inevitabilmente grava anche su chi ci sta vicino.
Al fine di coltivare una sana relazione sentimentale, ci sono alcuni fraintendimenti che vanno evitati accuratamente. Uno di questi è ritenere che prendersi cura del proprio benessere sia un sintomo di egoismo, una mancanza di attenzione e sollecitudine verso l’altro. Al contrario pensare a sé, nel senso di avere cura e attenzione per se stessi, ovvero prendersi la piena responsabilità del proprio benessere, è invece una componente essenziale per rafforzare le relazioni e fa bene anche all’altro. Nel diagramma che utilizziamo nei nostri corsi, prendersi cura di sé, è la seconda delle sei frecce che fanno girare in senso positivo la spirale e che quindi fanno espandere il cuore della relazione.
Come si fa concretamente a trovare l’equilibrio tra il prendersi cura di sé e il prendersi cura dell’altro? Questo dilemma si presenta spesso, sia nelle attività di tutti i giorni, sia nelle scelte più impegnative. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare le più insidiose sono le scelte ordinarie, come tenere in ordine la casa, o come trascorrere il tempo libero nel fine settimana… Siamo portati a non dare troppa importanza a queste cose. Così è più facile che la scelta sia fatta secondo le nostre abitudini, anche se non sempre salutari. È molto frequente, infatti, che un aspetto prevalga sull’altro; dare la priorità ai bisogni dell’altro a discapito dei propri, o viceversa.
Questo squilibrio è una delle principali ragioni di malessere nelle relazioni di coppia. Se questa disarmonia non viene curata, il malessere, nel tempo, crescerà e non potrà che portare a conflitti e a sofferenza.
Per stare bene, grande aiuto deriva dalle qualità che si sviluppano con la pratica della consapevolezza.
IL MONDO INTERNO E IL MONDO ESTERNO
Proviamo a tracciare una mappa che possa aiutarci a prendere la giusta direzione. Per prima cosa, ricordiamo che la realtà in cui viviamo ha due aspetti: mondo interiore e mondo esteriore. Come individui autonomi e responsabili, siamo chiamati ad impegnarci nella cura del nostro mondo interiore. “Se non abbiamo una base in noi stessi non possiamo arrivare agli altri” sottolinea Corrado Pensa. Ed Eva Pierrakos, nella sua lezione sul significato spirituale delle relazioni, precisa che “se non si porta pace fra i vari aspetti in conflitto dentro se stessi, non si può stare veramente in pace con gli altri”. La pace non è fine a se stessa, ma serve per consentire a tutte le parti vitali dentro di noi di poter fare quello che ardentemente stanno aspettando: prendere il proprio posto nella storia della nostra vita. La disponibilità ad osservare con mente aperta è una componente essenziale del prenderci cura. La pratica della consapevolezza ci educa infatti a guardare il nostro mondo interiore senza pregiudizi, per poterlo comprendere. Quando sediamo in meditazione il baricentro della nostra attenzione è dentro di noi. Ci aiutiamo limitando i movimenti del corpo e gli stimoli che arrivano dall’esterno. Cerchiamo un posto tranquillo, possiamo chiudere gli occhi o posare lo sguardo su un oggetto neutro. Portiamo l’attenzione sui movimenti interni del nostro corpo, come il respiro. Come ha ricordato su questa rivista Neva Papachristou, nel Raja Sutta si riporta che il Buddha abbia detto “cercando con la mente in tutte le direzioni non si trova nessuno più caro di noi stessi”. Di nient’altro dobbiamo prenderci cura più che di noi stessi. È particolarmente interessante il fatto che questo Sutta prenda spunto dal dialogo tra un uomo e una donna, il re Pasenadi del Kosala e la regina Mallika, che vivono all’interno di una relazione di coppia.
Ogni persona, praticando il raccoglimento, impara a riconoscere e comprendere la complessità che abita il suo mondo interiore, lascia andare falsi giudizi e convinzioni, si apre alla chiara visione della verità, coltivando in questo modo la propria naturale inclinazione verso l’armonia.
E’ fondamentale prendersi cura del proprio mondo interiore, tuttavia viviamo al tempo stesso nel mondo esteriore: un universo più o meno sconosciuto del quale, nolenti o volenti, siamo parte. E’ il mondo delle nostre relazioni con tutto ciò che è fuori. E’ altrettanto importante che che ci prendiamo cura del mondo esteriore, come di quello interiore. Cura del mondo interiore e cura del mondo esteriore sono due attività diverse e parimenti indispensabili per il nostro benessere. Più è completa e approfondita l’elaborazione del mondo interiore, più siamo capaci di rapportarci positivamente con il mondo esteriore. La sfida più grande e decisiva per il nostro destino è riuscire a coniugare armoniosamente queste due realtà, così diverse sul piano della dimensione materiale. E questo emerge in modo particolarmente evidente nelle relazioni di coppia, dove è così forte lo scontro, ma anche grande la possibilità di costruire una alleanza.
Quando all’interno di noi stessi non diamo ascolto a una o più parti, soffriamo. Assorbiti dalla necessità di proteggerci da questa sofferenza, abbiamo poca disponibilità verso l’esterno, quindi il malessere che stiamo provando lo trasmettiamo anche all’esterno. Così facendo non possiamo aprirci ad un confronto sincero e leale con l’altro, perché potrebbero essere scoperte le parti interiori, che noi per primi non vogliamo incontrare. Anche la nostra possibilità di dare è limitata, perché siamo molto presi nello sforzo di mantenere le nostre strategie difensive. Riusciamo a dare solo nella misura in cui possiamo usare l’altro come mezzo per rassicurarci, per eludere la responsabilità della nostra difficoltà interna. È un dare condizionato. Sia all’interno che all’esterno dobbiamo essere attenti a controllare quello che accade, per non lasciare emergere certe cose. Non c’è la possibilità per un dare che sia a beneficio esclusivo della libera espressione dell’altro, perché lo si renderebbe sempre più forte ed autonomo, quindi meno controllabile. Il cocktail emotivo, costituito dal bisogno di sicurezza affettiva, unito all’incertezza circa la propria capacità di riconoscere e di restare in contatto con il mondo interiore, ci fa sentire facilmente minacciati dalla sicurezza e autonomia del partner. La possibilità di prendersi cura del partner viene sacrificata. Inoltre, quando neghiamo che il problema sia dentro, siccome il disagio non si può sopprimere, dobbiamo mantenere la convinzione che quello che non va sia fuori. E dunque crediamo di doverci difendere da qualcosa che sta fuori di noi e sviluppiamo la tendenza a cercare fuori le cose che non vanno. Quando entriamo in relazione con il mondo esterno cerchiamo il “difetto” e, se vogliamo mantenere la relazione, possiamo dedicarci “alla nobile impresa di cambiarlo”, o almeno contenerlo e limitare i suoi effetti negativi. Anche questo toglie spazio alla possibilità di accogliere l’altro, aiutarlo a realizzarsi per come è e vuole essere. Così l’alleanza nella relazione affettiva non può fiorire, ma si alimentano pretese e avversione.
Ben diverso è quello che accade nella relazione di coppia quando ci apriamo senza pregiudizi alla verità dei nostri desideri, dei nostri bisogni e dei nostri limiti. Quando ci prendiamo l’impegno di fare tutto quello che possiamo per dare a noi stessi il meglio e accettiamo, con rispetto, la dose di frustrazione dei nostri desideri e dei bisogni che la vita ci riserva. Allora diventa possibile aprirci in questo stesso modo anche alla complessità del mondo interiore del nostro compagno: ci apriamo ai desideri e ai bisogni dell’altro, così come ai nostri. Non proiettiamo sul nostro partner il peso di colpe che non ha, e non abbiamo più bisogno di nascondergli e nasconderci le nostre debolezze. Si sciolgono così i nostri segreti sentimenti di rancore, invidia, competizione e la paura di mettere a nudo la nostra vulnerabilità. Siamo pronti per accogliere le difficoltà del nostro compagno, oltre che per chiedere e ricevere il suo sostegno. E così siamo liberi di dedicare tempo e attenzione per accompagnarlo nella sua ricerca della felicità.
DINAMICHE DI COPPIA
Facciamo un esempio. La moglie di Giulio, la sera dopo cena, ha spesso piacere di guardare la televisione. A lei piacerebbe guardare la televisione insieme a lui e glielo chiede. Lui è abituato a fare altro. Infatti nemmeno aveva la televisione quando viveva a casa da solo. Quando si ferma a vedere un programma televisivo si sente passivo, quasi ipnotizzato, e dopo ha spesso una brutta sensazione, di mancanza di significato, come se avesse sprecato il suo tempo. In più, certe immagini violente lo lasciano turbato e inquinano la sua mente. Rispetto alla richiesta di lei, Giulio si sente incerto. C’è il desiderio di starle vicino e di non stare solo. Ma c’è anche il desiderio di fare cose più interessanti e piacevoli per lui. Certe volte prevale in Giulio la paura di contrariare Marina, di lasciarla sola, di non soddisfare le sue aspettative. Lui, in questo modo, si identifica con quella parte di sé che teme di perdere la moglie. E non c’è spazio per vedere altro, come il desiderio di uscire a fare una passeggiata o leggere un libro. Non c’è più contatto consapevole con il suo mondo interno. La mente cosciente di Giulio ha semplicemente smesso di ascoltare i bisogni che fanno parte della complessità del suo mondo interno, perché pensa che non sia possibile armonizzarli con la sua necessità di sicurezza affettiva e li interpreta come una minaccia. Il punto è che questa strategia protettiva, basata sulla identificazione con una piccola parte di noi stessi, provoca un malessere che con il tempo è destinato a crescere. Sono le parti trascurate dentro che soffrono e, finché sono vive, non avendo la possibilità di esprimersi direttamente, useranno tutta la loro vitalità per farsi notare e cercheranno vie indirette nella speranza di essere finalmente riconosciute. I modi sono tanti, dalla violenza alla malattia, con infinite sfumature e gradazioni.
Altre volte accade che Giulio si scusa con lei, le spiega che non ha voglia di vedere la televisione ed esce a fare una passeggiata da solo. Gli sembra di stare meglio, sicuramente camminare all’aria aperta gli piace e gli fa bene. Senonché, qualche giorno dopo, quando lei di nuovo si siede sul divano e accende il televisore, senza pensarci lui le dice con malcelata stizza “non riesci proprio a farne a meno?”. Lei si sente criticata, percepisce la sua avversione e glielo fa notare. Giulio nega di avercela con lei, in fondo pensa in buona fede che vorrebbe solo aiutarla a capire che ci sarebbero molte cose più interessanti e piacevoli da fare. Lui si sente frainteso ed attaccato a sua volta. Adesso ha un fondato motivo per esprimere verso di lei il suo disappunto, senza temere di dover mettere in gioco le sue parti nascoste e vulnerabili. Lei è ancora più infastidita perché si accorge che lui stia negando quello che le appare evidente. Ed ha ragione, ma non sa che per lui è difficile riconoscerlo, perché non è consapevole della vera causa della sua contrarietà. Giulio è in buona fede, sta dicendo quello che pensa, ma sta sbagliando perché si sta muovendo, pensando e parlando, a partire da un livello superficiale e limitato di comprensione del suo mondo interiore.
Da questo genere di situazioni può nascere un crescendo di incomprensioni e di contrarietà nella relazione di coppia. Anche se non alimentano alcuna discussione, le loro insoddisfazioni rimangono e alimentano una spirale negativa, ancor più incisiva proprio in quanto inespressa chiaramente. Questa situazione, solo se viene riconosciuta come un invito ad approfondire la consapevolezza del proprio mondo interiore, può trasformarsi in un’occasione preziosa di comprensione e di crescita.
Dinamiche come questa appena riportata sono frequentissime. La parte trascurata necessariamente produce emozioni negative, di tristezza e/o di rabbia. Finché non realizziamo una visione profonda dei bisogni dove affondano le radici i nostri desideri frustrati, non siamo in grado di collegare a questi bisogni le nostre emozioni negative. Ricordiamoci l’insegnamento zen che dice “quando dovete scegliere tra una strada in discesa ed una in salita, scegliete quella in salita”. Questa è la scelta che in genere evitiamo di fare. Infatti, anziché cercare di approfondire la comprensione di noi stessi, strada più lenta e impegnativa, è più facile seguire la strada in discesa e collegare le emozioni negative ad eventi esterni. Ad esempio, la rabbia sopita o il semplice malumore, Giulio lo attribuisce alla moglie. È per lei che si è seduto davanti alla televisione, quindi è colpa sua se ora si sente di malumore. È colpa sua se la sera si ritrova a fare la passeggiata da solo, quando invece vorrebbe avere l’attenzione della moglie e condividere con lei le cose che a lui piacciono.
Se guarda dentro di sé con più pazienza ed attenzione, può scoprire che quando si è seduto davanti al televisore non ha dato ascolto al suo bisogno di dedicarsi ad altre esperienze soddisfacenti per la sua personalità, come uscire e fare attività fisica dopo una giornata sedentaria. Ma nemmeno al bisogno di condividere con lei momenti di leggerezza e piacere, di vivere gli stimoli alla creatività che vengono dall’incontro autentico con la persona amata, di esplorare insieme le cose più semplici e quelle più complesse. D’altra parte, quando è uscito ha ascoltato il bisogno di uscire, ma non altri, e probabilmente ha anche trascurato quella parte fragile che ha bisogno di essere rassicurata sulla stabilità della sua relazione di coppia. La disattenzione verso la complessità del suo mondo interiore, ha determinato pensieri e comportamenti inadeguati. Sia che abbia scelto di stare sul divano con lei o di uscire da solo, il malessere si è manifestato attraverso emozioni negative che prima o poi, in un modo o nell’altro, hanno trovato il modo di farsi notare. Come sempre, le emozioni negative sono indicazioni preziose sulla mappa per trovare il tesoro nascosto dei nostri bisogni più salutari, dei quali abbiamo il compito di prenderci cura per stare bene.
Grazie ad una maggiore consapevolezza, Giulio, in un momento di serenità e disponibilità, potrebbe decidere di parlare con Marina della sua difficoltà e del suo malessere ancora non bene identificato. È infatti molto utile anche partire da un senso di incertezza e confusione, perché aiuta a predisporsi all’apertura verso l’ignoto. Apertura che si può trasformare in uno strumento utile per esplorare il proprio mondo interno, sostenuti dall’intenzione di prendersi cura l’uno dell’altra. L’attenzione congiunta di un’altra persona, usando le tecniche corrette, è un potentissimo moltiplicatore dell’attenzione individuale. Giulio, dopo aver dato la giusta considerazione al proprio mondo interiore con il potere curativo dell’attenzione e della comprensione, potrebbe usare la stessa sincera apertura per incoraggiare Marina ad aprirsi a sua volta, aiutarla a riflettere e spiegare cosa significa per lei sedersi a guardare la televisione e non pensare ad altro dopo una giornata faticosa.
Giulio potrebbe comprendere che non tutti i desideri si possono condividere con la stessa persona e nello stesso momento. Potrebbe liberare Marina dal peso di sentirsi responsabile per la insoddisfazione di Giulio, disinnescando il rischio di giocare a scarica barile. Potrebbe comprendere che anche saper riconoscere e gestire apertamente la frustrazione di alcuni suoi desideri, fa parte della crescita e della via verso il benessere, la via del non attaccamento. Questo non significa rinunciare, ma al contrario cercare di essere connessi il più possibile con la propria natura autentica e impegnarsi al massimo nel prendersi cura dei propri bisogni, che includono anche quello di una relazione positiva con il mondo esterno, sapendo umilmente accettare che non si può avere nessuna garanzia sul risultato.
DALLE PRETESE ALLA RICHIESTA D’AIUTO
A volte qualcuno nel corso di un laboratorio ci dice “non potrò stare bene con nessuno finché non avrò guarito il mio bambino ferito”. E noi rispondiamo “se fosse così, le buone relazioni di coppia sarebbero rare come fiori nel deserto, hai mai pensato che l’altro potrebbe aiutarti nel prenderti cura di queste ferite?” La verità è che spesso non abbiamo il coraggio di riconoscere, prima a noi stessi e poi agli altri, la vergogna, il senso di impotenza, la paura che ci suscitano le ferite di quel bambino. Oppressi da questi sentimenti, non siamo in grado di chiedere aiuto, e tanto meno di offrirlo. Piuttosto, preferiamo abbandonarci inconsapevolmente alla pretesa magica che l’altro ci liberi da quelle ferite. Solo la magia potrebbe risolvere i nostri problemi dall’esterno, se non siamo disposti a riconoscerli e prenderci la responsabilità di curarli. Ma la magia, almeno qui, non funziona. Quando smettiamo di evitare il nostro mondo interiore e ci prendiamo le nostre responsabilità, l’altro non è più una minaccia, non è più responsabile dei nostri disagi e possiamo accogliere anche i suoi limiti, come i nostri. Allora smettiamo di avanzare pretese e iniziamo a formulare richieste. Possiamo usare quelli che noi chiamiamo i quattro passi per muoversi dalla pretesa alla richiesta di aiuto: 1) riconoscere ed esprimere il proprio desiderio; 2) riconoscere ed esprimere il bisogno che dà energia al desiderio; 3) ascoltare e comprendere il bisogno differente dell’altro; 4) chiedersi “cosa posso fare io?” “come possiamo aiutarci reciprocamente?” (su questo tema si svolgerà il prossimo incontro del 19 novembre all’A.Me.Co).
Per avere una relazione d’amore ricca e positiva non è necessario curare prima le proprie ferite, ma è indispensabile che ciascuno impari a curare le proprie ferite mentre si sta insieme. Il lavoro lo iniziamo in prima persona, da dentro. L’altro può sostenerci dall’esterno. Nella relazione positiva l’altro diventa il nostro più prezioso alleato. La relazione è un invito, un dono che ci viene dato per trovare l’equilibrio interno, attraverso l’equilibrio fuori. Come dice la Pierrakos “È solo nel rapporto con gli altri, che i problemi non risolti, le difficoltà ed i conflitti che ancora esistono nell’individuo, vengono attivati e possono essere risolti”. E aggiunge poco dopo “l’attrito generato dai rapporti con gli altri è un utile strumento di purificazione e di autoscoperta, se si è disposti ad essere onesti e sinceri con se stessi”.
I due mondi, esteriore e interiore, interagiscono continuamente, sono due riflessi dello stesso percorso di vita della persona.
Neva Papachristou, in Sati, ci ha fatto notare che la differenza tra un prendersi cura di sé salutare e una egoistica autoreferenzialità, sta nell’assenza di giudizio separativo. Ci prendiamo cura di noi stessi, non perché pensiamo di essere più importanti o migliori, ma perché riconosciamo la nostra primaria responsabilità nei confronti delle difficoltà che viviamo nel nostro mondo interiore e ci rendiamo conto che in questo modo serviamo non solo la nostra singola vita, ma l’insieme di cui siamo parte. Condividiamo continuamente con l’esterno la crescita e il bene che riusciamo a realizzare dentro di noi, e reciprocamente ci arricchiamo dall’esterno. L’efficace interazione tra mondo interno e mondo esterno, basata su apertura e comprensione, produce armonia e benessere senza separazione. E ancora il Buddha nel Sedaka Sutta ci insegna che prendendoci cura di noi stessi ci prendiamo cura degli altri. “Quando si realizza questa coincidenza di interessi, tra il mio e il tuo? Quando coltiviamo la consapevolezza, la comprensione profonda che ci consente di riconoscere l’autentico bene, smettiamo di fare il male, coltiviamo il bene, purifichiamo il cuore”.
Si pratica per se stessi e per gli altri, non c’è distinzione.
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